........Occorre innanzitutto definire l’oggetto
attorno al quale ragioniamo: il paesaggio. A me preme allora
ricordare che il paesaggio è il prodotto storico della
cultura e del lavoro dell’uomo sulla natura. Nel paesaggio, nella
forma del territorio così come ci appare, natura e storia si
integrano variamente nelle varie parti del pianeta. Essi formano
così tipi diversi di paesaggio (naturale, agrario, urbano), ciascuno
dei quali è caratterizzato da genesi, caratteri, significati,
utilità, problemi diversi. È proprio la loro genesi, caratterizzata
dalla sintesi tra evento e sito, che definisce quindi l’identità
dei luoghi: elemento costitutivo della stessa identità delle
comunità, nazionali e locali, che quei luoghi abitano. Prodotto
della storia, e identità dei luoghi e delle comunità: questi sono
gli attributi del paesaggio che soprattutto mi interessano.
Non sto proponendo qui una particolare interpretazione del
paesaggio. Se l’accentuazione del ruolo della storia nella
formazione del paesaggio (e quindi nella comprensione dei suoi
valori) è propria di alcuni rilevanti scuole di pensiero (da Emilio
Sereni a Piero Bevilacqua, per rimanere in Italia), nella vicenda
culturale italiana ed europea il paesaggio è stato oggetto di
interpretazioni diverse: da quella estetica a quella storicistiche,
dall’”archeologia del territorio” alla “ecologia del paesaggio”. Non
credo però che si debba scegliere tra l’una o l’altra
interpretazione. Non si tratta dell’espressione di posizioni
antitetiche, ciascuna delle quali si contrapponga alle altre, ma
della messa in luce di differenti punti di vista, ciascuno dei quali
sottolinea uno degli aspetti del paesaggio, rivelandone la
ricchezza e la complessità. Il paesaggio, la storia, l’uomo
Sottolineare, come mi sembra giusto fare, il ruolo della storia
nella formazione del paesaggio (e quindi del suo valore) significa
porre l’accento sul ruolo dell’uomo. Occorre allora riconoscere che
l’intervento dell’uomo sulla natura ha avuto ed ha segni diversi. A
volte (in certe epoche, in certe società, in certi luoghi) un ruolo
positivo: ha costruito paesaggi (urbani, agrari, naturali anche) ai
quali riconosciamo oggi valore d’insegnamento e valore estetico: con
la semplice manutenzione, oppure con la formazione di nuovi paesaggi
agrari, oppure con la creazione di opere integrate nel paesaggio
preesistente, l’uomo ha aggiunto insomma valore alla forma della
Terra.
Ma altre volte (con l’incuria e l’abbandono, con l’eliminazione dei
segni del passato in nome del profitto immediato, con
l’artificializzazione dissennata) ha sottratto valore e distrutto il
patrimonio culturale e storico costituito dal paesaggio, ha ridotto
la ricchezza della civiltà umana. Una domanda inquietante dobbiamo
allora proporci.
È in grado la società di oggi, la cultura che essa esprime, di porsi
nei confronti della natura e della costruzione del paesaggio nello
stesso modo nel quale si sono posti gli uomini il cui prodotto oggi
ammiriamo, e nel quale riconosciamo una componente essenziale della
nostra identità? I paesaggi urbani e iperurbani la devastazione
delle campagne, la distruzione di ambienti naturali, realizzati in
Italia nell’ultimo mezzo secolo, non lasciano dubbi in proposito, e
invitano alla massima attenzione di fronte alla tentazione di
“abbassare la guardia” dell’azione di tutela.
Utilità del paesaggio
Per invertire la tendenza, per imparare di nuovo
a governare la natura senza negarla, occorre che la tutela del
paesaggio diventi una priorità sociale. Perché ciò avvenga, è
necessario rendere evidente a tutti quali sono le ragioni per cui è
socialmente necessario tutelare e arricchire la qualità del
paesaggio (dei paesaggi). Perché, insomma, il paesaggio serve?
In primo luogo, il paesaggio è memoria. Il paesaggio è un
deposito di storia. In esso è rappresentato e testimoniato il
nostro passato, il passato della nostra civiltà. Esso è dunque il
fondamento della identità delle diverse comunità che abitano
il pianeta (dalle nazionali alle locali). Esso serve (a noi, e alle
generazioni future) perché è una insostituibile risorsa della
civiltà, è la materia vitale che alimenta il futuro. Basterebbe
questo a comprendere come una società che voglia esistere debba
custodire il paesaggio come una propria risorsa primaria.
Ma il paesaggio è anche risorsa economica. Sempre più,
nell’economia moderna, tendono ad accrescere il loro peso (fino a
diventare dominanti) i settori legati alla produzione di “beni
immateriali”, tra i quali i comparti legati alla ricreazione e al
benessere fisico, al turismo, alla conoscenza e al godimento
estetico assumono crescente rilievo. In moltissime aree dell’Italia
(e dell’Europa) il paesaggio di qualità è luogo e condizione per
produzioni enogastronomiche “di nicchia”, caratterizzate dalla
qualità e dall’identità, fondamentali sia lo sviluppo economico e
sociale delle aree coinvolte che per la conservazione di valori
universali.
A proposito del ruolo economico del paesaggio nei prossimi decenni
non va trascurato il peso che può avere per lo sviluppo
dell’occupazione in molte regioni italiane un’azione di
manutenzione del suolo, di riduzione dei rischi e dei costi del
degrado ambientale, di avvio di un’azione di presidio ambientale. Si
tratta di ricostituire e manutenere ambienti naturali distrutti
dall’incuria dell’uomo (e minacciosi per la sopravvivenza nelle aree
a valle del degrado), oppure ambienti caratterizzati da un assiduo
rapporto di costruzione del paesaggio agrario.
Alla qualità del paesaggio è legata anche la qualità della vita:
La bellezza dei panorami, l’armonia dei luoghi nei quali si svolge
la sua vita sono essenziali per il benessere della donna e
dell’uomo, del bambino e dell’anziano. Nell’epoca della
globalizzazione, la concorrenza tra le regioni e le città assume
sempre di più la qualità dell’ambiente (come componente della
qualità della vita) come un valore economico da mettere in gioco nel
“marketing urbano”. Ciò pone, una volta ancora, l’esigenza
economica di migliorare la qualità del paesaggio anche là dove (come
nelle periferie urbane) non si è stati capaci di creare qualità
nuove, ma solo di distruggere quelle preesistenti.
Indirizzi per la pianificazione
Obiettivo primario è quello di conferire piena
efficacia alla protezione e al godimento dei beni paesaggistici (di
quelli esistenti e di quelli da realizzare) da parte delle
generazioni presenti e future. La pianificazione territoriale e
urbanistica, come insieme di metodi e strumenti volti ad assicurare
coerenza alle trasformazioni del territorio garantendo trasparenza e
partecipazione al processo delle decisioni, è l’ambito entro il
quale tale obiettivo può essere raggiunto.
A me sembra particolarmente significativo, da questo punto di vista,
il modo in cui la legge 431/1985 (la cosiddetta Legge Galasso) ha
posto le premesse per innovare il sistema di pianificazione. La
legge è stata attuata solo parzialmente, e spesso la sua attuazione
è stata una elusione delle sue finalità. Ma l’esperienza di
attuazione di quella legge (là dove un’attuazione positiva vi è
stata) induce ad sottolineare, e a proporre alcuni indirizzi
particolarmente significativi. Li enuncerò in termini molto
sintetici:
La “attenta considerazione delle valenze paesistiche e ambientali”,
che la legge 431 chiede alla pianificazione ordinaria perché abbia
efficacia, deve diventare una costante nella pianificazione
territoriale e urbanistica ordinaria, a tutti i livelli: nazionale,
regionale, provinciale, comunale.
Più precisamente, la prima fase della pianificazione deve
essere costituita dall’assidua ricognizione delle qualità naturali e
storiche del territorio, come si tentò di fare nell’esperienza della
Regione Emilia Romagna del 1985-86 e come hanno prescritto, in modi
più o meno chiari, le nuove leggi urbanistiche della Toscana e della
Liguria.
La ricognizione delle qualità del territorio deve condurre
precettivamente all’individuazione delle trasformazioni fisiche
ammissibili e delle utilizzazioni compatibili con le caratteristiche
proprie di ogni unità di spazio, come condizione non negoziabile
per ogni decisione sulle trasformazione da promuovere o consentire;
La tutela attiva del paesaggio richiede che nel processo di
pianificazione vengano integrati tutti gli strumenti disponibili: le
politiche e le azioni di settore, gli incentivi finanziari, la
partecipazione a programmi e progetti nazionali e sovranazionali, il
ricorso all’imprenditoria privata. Questi strumenti non devono
essere adoperati in contrasto alla pianificazione oppure come
alternativa ad essa, ma - appunto - come suoi strumenti.
Sottolineare l’utilità della pianificazione (come mi sembra
indispensabile) significa riconoscere la parzialità, e quindi
l’insufficienza della protezione passiva costituita dai
vincoli di tutela). Ma credo che il clima culturale e morale che
stiamo attraversando (gli anni Ottanta non finiscono mai!) impongano
al tempo stesso di ribadirne l’utilità. I vincoli, ancorché non
sufficienti, sono utili sotto un duplice profilo. In primo luogo, il
vincolo è necessario come difesa temporanea, in attesa che la
pianificazione consenta di articolare le politiche, sia attive che
passive, di tutela. In secondo luogo perché (come dimostra
l’esperienza della legge 431/1985) il vincolo agisce strumentalmente
come sollecitazione alla pianificazione, e quindi alla possibilità
di una tutela più compiuta e di una fruizione dei beni paesaggistici
che ne garantisca la conservazione.
Sussidiarietà e intesa
Un ultimo punto vorrei brevemente toccare. La
tutela e valorizzazione del paesaggio esprime una pluralità
d’interessi collettivi: da quelli nazionali a quelli locali. Occorre
evitare sia il rischio del conflitto paralizzante sia quello della
negazione di uno o l’altro degli interessi coinvolti.
Il principio di sussidiarietà è il criterio utilizzabile per
individuare a chi spetta la responsabilità della scelta in relazione
agli oggetti e aspetti su cui occorre decidere.. Lo è, beninteso, se
è assunto nella sua accezione corretta, quella elaborata nella
recente cultura europea. Non il principio di sussidiarietà inteso
come “tutto il potere alla periferia”, ma come riconoscimento del
fatto che per ogni decisione c’è un livello giusto al quale quella
decisione può essere presa efficacemente. Ma valga il testo
ufficiale:
Nei campi che non ricadono nella sua esclusiva competenza la
Comunità interviene, in accordo con il principio di sussidiarietà,
solo se, e fino a dove, gli obiettivi delle azioni proposte non
possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri e, a
causa della loro scala o dei loro effetti, possono essere raggiunti
meglio dalla Comunità
[1],
È davvero difficile pensare che il paesaggio, essendo elemento
fondamentale per la definizione dell’identità nazionale, non rientri
pienamente nelle responsabilità (e delle competenze) dello Stato,
essendo appunto questione che si pone a una scala nazionale.
Ma se gli organi centrali dello Stato hanno la responsabilità
dell’azione di tutela, essi hanno anche quella di promuovere la
concorrenza dei poteri nell’azione di tutela. Se la
responsabilità primaria in materia di paesaggio spetta allo Stato,
anche i livelli di governo regionale e locale sono legittimati
(credo d’averlo argomentato a sufficienza) a concorrere con esso
nella azione di individuazione, definizione, tutela.
Come può esercitarsi la concorrenza nel campo della pianificazione
territoriale e della tutela del paesaggio? Anche qui vi è un
principio, e un istituto già introdotto nel nostro ordinamento, che
possono aiutare. È il principio secondo il quale gli strumenti di
pianificazione, laddove disciplinino beni dello Stato in termini
tali da incidere sulla loro finalizzazione, possono diventare
efficaci soltanto previa "intesa" con lo stesso Stato. Questo
principio, del resto, stato introdotto recentemente
nell'ordinamento, seppure limitatamente alla pianificazione
provinciale, dall'articolo 57 del decreto legislativo 112/1998, il
quale stabilisce che:
la regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale
di coordinamento provinciale [...] assuma il valore e gli effetti
dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della
tutela dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della
tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione delle
relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia
e le amministrazioni, anche statali, competenti.
Come propone l’associazione Polis, tale testo normativo può
costituire, può essere esteso al di là del suo specifico contesto, e
costituire un modello sulla cui base affrontare compiutamente la
questione. È un modello, del resto, che è già stato più volte
proposte e applicato in concrete esperienze di governo del
territorio e può dar luogo, come è stato osservato, a utili
semplificazioni e snellimenti delle procedure. Ciò che è
nell’interesse di tutti. |