Binomi oppositivi:

i conflitti

 

Coppie oppositive come Vecchio e Nuovo, Pedoni e Automobili, Ordinario e Spettacolare, High e Low tech, Volti e Maschere, Verde e Cemento, Casermoni e Villette, Antichi e Moderni, sono insolite categorie analitiche che ci forniscono un nuovo dizionario di termini per descrivere le recenti manifestazioni dell’architettura, riconoscendo nei progetti presentati un inevitabile sconfinamento di un termine nell’altro. In questo orizzonte circa 150 progetti di architetti italiani e stranieri operanti in Italia, vengono mostrati con un’attitudine sostanzialmente “cartografica”, perseguendo come obbiettivo il disegno di una mappa che rappresenti le “regioni” dei conflitti in corso.

 Queste aree di introduzione accompagnano il visitatore alle installazioni delle wunderkammer, dedicate ciascuna ad un binomio oppositivo ed allestite da differenti architetti, focalizzando l’attenzione su specifici casi simbolo.

 

VECCHIO E NUOVO

La qualità degli interventi nei centri storici rappresenta tuttora un’eccellenza dell’architettura del nostro paese. Tuttavia, dai tempi della celebre formulazione del tema da parte di Ernesto Rogers negli anni cinquanta e dell’esperienza di Albini, Gardella, Scarpa, Michelucci ecc., il contesto culturale è radicalmente mutato essendo orientato, in maniera sconfortante, verso il rifiuto di ogni forma di progettualità. Contagioso. Invasivo. Soggetto agli atteggiamenti anacronistici delle burocrazie delle soprintendenze. Nell’attuale clima estenuato da una sfiducia nei mezzi dell’architettura moderna possiamo osservare l’esistenza di due attitudini contrapposte. La sezione documenta le opere di coloro – come Umberto Riva – che ancora perseguono, pur tra mille ostacoli, la tradizione dell’impegno progettuale nei tessuti storici delle città (rinnovando un’attitudine per la quale l’architettura italiana fu presa a modello negli anni cinquanta). Oltre alle apprezzabili azioni di restauro conservativo, si sta diffondendo per contro una pletora di interventi di assimilazione-falsificazione sempre più numerosi. Il moltiplicarsi di tali pratiche si spiega con il fatto che la falsificazione stilistica serve da salvacondotto per ottenere le approvazioni degli istituti di tutela. Si tratta di contraffazioni sotto le quali vengono occultati i contenuti di una vita contemporanea apparentemente rifiutata ma, a dispetto di tutto, inarrestabile.

PEDONI E AUTOMOBILI

La magnifica mescolanza di persone e cose in movimento dei vecchi tempi è venuta meno per l’abnorme incremento della mobilità privata su gomma. Le città, rese invivibili dall’ingigantirsi di tale fenomeno, hanno iniziato da qualche anno a prendere provvedimenti che di fatto hanno contribuito a generare una polarità insostenibile tra impraticabili e congestionate vie di traffico e zone pedonali destinate allo shopping. Se il nostro Paese non si distingue particolarmente per la qualità della progettazione delle infrastrutture della mobilità e per la cura dello spazio pubblico, gli architetti per parte loro si ingegnano ad addestrare la loro sensibilità nelle nuove zone destinate ai pedoni cercando di riconfigurare gli spazi pubblici eludendo la malaugurata pratica dell’”arredo urbano”. La riscoperta del suolo e, nei casi migliori, il tentativo di organizzare più armonicamente i movimenti sono le tematiche esemplificate in questa sezione. Inoltre, ai margini dell’architettura in senso stretto, sono inclusi nella sezione esempi di public art, poiché l’azione di alcuni artisti nello spazio pubblico sta rivelando agli stessi architetti inedite possibilità immaginative.

 

ORDINARIO E SPETTACOLARE

Tra le nuove polarità in cui si articola il fenomeno architettonico nella recente fase neoliberista vi è quella tra l’architettura della pratica edilizia “normale”, anzi ordinaria, e un inedito genere di architettura-spettacolo riservato a progetti emblematici, spesso frutto delle iniziative dei nuovi investitori nazionali e internazionali. Nel clima diffusosi negli ultimi anni, a questi progetti, quasi sempre opera dei protagonisti dello star system architettonico internazionale – come  Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Frank Gehry ecc. – viene affidato il compito di produrre in modo emblematico e singolare lo scenario di un futuro fantasticato. La recente competizione in atto tra le diverse città adotta questi edifici spettacolari come simboli di nuove vagheggiate identità. Non sappiamo, peraltro, quanti dei progetti di concorso presentati in questa sezione saranno realizzati poiché nelle strategie comunicative di tali iniziative si intrecciano opportunità reali ed enfasi promozionale. Oltre agli atteggiamenti di resistenza di fronte al dilagare del fenomeno, esemplificati dalle posizioni di Vittorio Gregotti, resta il dubbio se talune iperboli progettuali non debbano essere interpretate sulla falsariga di quei miraggi in cui cadono ripetutamente i paesi che vivono con inquietudine lo stadio di uno sviluppo incompleto.

HIGH E LOW TECH

L’uso di nuove tecnologie si è diffuso rapidamente in Italia più nelle strutture correlate al processo edilizio che nella realtà delle pratiche e delle tecniche costruttive, dove è presente in modo marginale. Non ha ancora investito la produzione architettonica e la struttura dell’impresa edilizia, che conservano a tutt’oggi i pregi e i limiti delle attività in prevalenza artigianali. Bisogna dire, per la verità, che anche nei paesi dove è stato incoraggiato – Francia e Inghilterra – il genere high-tech resta confinato a un ambito particolare e di fatto utilizzato prevalentemente per alcuni edifici speciali. Per parte loro, i progettisti hanno adottato, come nel resto del mondo, gli strumenti progettuali dei nuovi programmi computerizzati e, pur restando la struttura degli studi di architettura italiani di dimensioni artigianali, gli architetti sono entrati nell’era elettronica adottando con entusiasmo le tecniche di simulazione e di rendering. In questi anni la figura di Renzo Piano e più di recente quella di Massimilano Fuksas hanno introdotto dalla Francia i maggiori esempi di questo atteggiamento. Per il resto negli ultimi tempi si assiste a una diffusione di forme esteriormente high-tech volte ad assecondare un certo apprezzamento popolare per i prodotti che riproducono le immagini di oggetti smaterializzati.

 

VOLTI E MASCHERE

La maschera, come condizione dell’apparire, dell’essere presente, appartiene all’architettura occidentale e, in special modo, italiana. Il tema della maschera sta godendo di una rinnovata fortuna, favorita dalla diffusione di sistemi costruttivi formati da scheletro e pelle. Da questo presupposto hanno preso origine indefiniti campi di possibilità dal momento che i due componenti – scheletro e pelle – sono indipendenti tra loro. La sezione documenta i fenomeni che riguardano le figure assunte dalle nuove maschere architettoniche e i loro scopi. La mappatura di una “via delle maschere” mostra il ricorrere di alcuni procedimenti associati a fini particolari. Indubbiamente il gusto della nostra società affluente rifugge dall’accettare la presenza di elementi come impianti di depurazione, centrali elettriche, cementifici, raffinerie ecc., e, di conseguenza, la pratica del mascherare può spingersi in alcuni casi sino a un vero e proprio camouflage. Un altro aspetto importante della mascheratura deriva dall’idea di mettere in atto la dissolvenza della normale pesantezza edilizia per ostentare la leggerezza come simbolo di un’estetica della sparizione. A tal fine molti edifici vengono rivestiti di doppie pareti vetrate o vegetali. In sostanza la sezione “volti e maschere” documenta i tentativi di “abbellimento” degli edifici in una fase di crescente diffidenza nei confronti del substrato materico del volume architettonico.

 

VERDE E CEMENTO

La riduzione dell’idea di natura a “verde” e di quella di artificio a “cemento” designa  brutalmente i termini di un conflitto che ha man mano preso le caratteristiche di una sindrome. Allo stesso tempo indica la povertà di un modello culturale. Possiamo dire che ai limiti più volte denunciati delle trasformazioni architettoniche e agli scempi della speculazione edilizia – la “cementificazione” – corrisponde, oltre alle opzioni di principio, l’oblio di una cultura che in passato ha prodotto il giardino all’italiana o, per dirla più ampiamente con Emilio Sereni, il meraviglioso paesaggio agricolo del nostro Paese. La sezione vuole mostrare i tentativi di riapprendere l’arte della progettazione paesistica assieme alla cultura del giardino e della manutenzione. Gli esempi presentati, pur nei loro limiti, fanno sperare nella ripresa di una progettualità che potrà svilupparsi soltanto con le prime realizzazioni e con l’istituzione di un qualificato insegnamento specifico. In effetti, la ordinaria nozione di “verde urbano”, come è usualmente intesa, sembra inadatta ad affrontare le nuove realtà degli spazi pubblici, eppure non mancano nei progettisti più sensibili i segnali di una ripresa della cultura del giardino e del paesaggio.

 

CASERMONI E VILLETTE

Accolta inizialmente con entusiasmo, e indicata con l’appellativo “effetto città”, la diffusione sul territorio degli insediamenti urbani corrispondente alla fine della civiltà agricola è ora oggetto di dubbi, ripensamenti, rifiuti. Vi sono per questo diversi tentativi di analisi e di rappresentazione – come ne La città uguale di Franco Purini – che tendono a fornire nuove descrizioni superando i parametri tradizionali. Tentativi in cui si cercano risposte adatte a interpretare mutazioni che rendono inefficace la descrizione con le abituali categorie dell’architettura, del paesaggio e della pianificazione urbana. Di fatto, parole come “villettopoli”, “sprawl town”, “città diffusa” indicano una diversità di posizioni nei confronti di tale realtà. Di conseguenza la sezione presenta la fatica, spesso improba, degli architetti che operano proprio nell’ambito di questa realtà di incerta definizione. Gli esempi mostrano una gamma di atteggiamenti molto differenziati: si va dalle risposte puriste e in un certo senso risentite nei confronti del contesto in cui molti architetti sono costretti a operare, sino ai tentativi di metabolizzare nel progetto architettonico le tematiche del caos, del collage, della provvisorietà.

 

ANTICHI E MODERNI

Da quando la nostra epoca si definisce postmoderna o surmoderna il rapporto con la tradizione, per contro, ha preso la forma di un atteggiamento anacronistico. Di conseguenza si sono determinate posizioni culturali opposte e conflittuali che finiscono per invalidare i requisiti di un autentico dialogo col contesto e impediscono l’elaborazione di risposte appropriate alle esigenze di innovazione del compito architettonico. Alla nostalgia del passato come rifiuto del presente si contrappone un’enfasi prolissa riguardo le seduzioni dell’ipermodernità, determinando quella situazione disequilibrata e incerta dell’attuale clima culturale che ha finito per relegare gli architetti su due schieramenti contrapposti. La sezione vuole documentare gli atteggiamenti dello schieramento di coloro che si oppongono agli attuali esiti ipermodernisti dell’architettura intesi come prodotto di quell’internazionalismo globalizzato e di facciata generato dallo star system. I protagonisti di questa tendenza proseguono una linea culturale che in modi diversi riconduce la pratica progettuale alla tradizionale autorità della Disciplina architettonica, sia grazie a un atteggiamento storicistico, sia grazie al più raffinato retaggio della nozione di tipologia edilizia come garanzia di una supposta validità intemporale dell’architettura. Tali posizioni raccolgono le eredità, l’una, della stagione dello storicismo postmoderno, l’altra, del razionalismo allucinato di Giorgio Grassi e del primo Aldo Rossi.


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